Fino a che punto usiamo la tecnologia e oltre quale limite ne diventiamo schiavi? Connessi costantemente, come sta cambiando il nostro ruolo nella realtà fisica, dove i gadget elettronici sono ormai talmente vicini a noi da essere parte integrante del nostro corpo? Derrick De Kerckhove è uno degli uomini più wired che esistano: italiano di adozione e allievo di Marshall McLuhan, con il quale ha lavorato, è uno degli studiosi di riferimento per la Rete e i suoi effetti sul nostro cervello e sulla cultura. Lo abbiamo incontrato a Lugano, in occasione del Premio Möbius, un annuale award elvetico per l’innovazione e il multimediale. Quest’anno, durante il simposio, si è parlato di realtà aumentatae di come l’ augmented reality (AR) possa essere uno strumento per abitare e fruire la cultura, dai musei ai Google Glass.

Qualche anno fa l’ultima frontiera tecnologica sembrava dovesse essere la realtà virtuale.L’augmented reality è un superamento di quella dimensione?

“L’augmented reality, rispetto alla realtà virtuale è meno specializzata, richiede meno attrezzatura e non ti lascia isolato dalla realtà. La realtà virtuale era fondamentalmente la ricostruzione mentale di uno spazio, oggi la realtà aumentata è un ibrido logico nella maturazione della tecnologia. L’aura di cui parlava Walter Benjamin non è più un valore magico dato alla cosa originale, quella dimensione è ora l’aumento cognitivo e partecipativo che le opere d’arte, ad esempio, possono avere. Adesso, abbiamo frigoriferi e cucine che parlano e credo sia stupendo. L’uso dell’oggetto e il rapporto di conoscenza con esso ha la sua compresenza in queste informazioni multimediali in più”.

L’AR è una realtà consolidata in alcuni settori specialistici. Quanto manca prima che diventi un fenomeno di massa?

L’uso nel settore medico è già ampissimo, come nell’ingegneria. All’università di Napoli, presso la facoltà di ingegneria, si creano modelli di vagoni di treni con la realtà aumentata a partire da una modellizzazione che consente di vedere tutti i punti forti e deboli del progetto. Ecco, l’ingegneria aumentata è qualcosa che sono molto felice di avere. Un altro settore è certamente quello dell’arte. Ad esempio, esiste la danza aumentata, dove i corpi vengono ‘moltiplicati’ in vari modi. C’è una ricchezza di informazioni generalizzata che possiamo aggiungere alle nostre attività umane. La realtà virtuale è superata: Second Life serviva a esternalizzare il nostro immaginario. Era qualcosa di abbastanza primitivo. La realtà virtuale ora è assorbita dentro la realtà aumentata”.

Come valuta i Google Glass?

“Fino ad oggi non pensavo di investigare troppo i Google Glass. Oggi però sono tentato, soprattutto per l’aspetto di condivisione relativo al lifelogging. Ci sono ancora tre cose che devono avvenire, in relazione a questo fenomeno: le riprese video devono essere realizzate dal punto di vista dell’occhio, mentre il suono deve passare attraverso l’osso, perché non voglio sentire la mia voce e, in futuro, se incontro una persona che mi piace, potrò condividere quelli che ritengo, ad esempio, i momenti più belli della mia vita”.

Non pensa esistano dei rischi concreti per la privacy?

“Ragazzo, scusami, ma Zuckerberg l’ha detto chiaramente: ‘Privacy is over’. Non voglio però essere troppo leggero con questa domanda. Sono nato in una cultura dove la privacy contava molto. Ora, quando si impiega più tempo a curare il profilo Facebook che a leggere, penso che ci sia uno squilibrio tra la cultura del sé interiore e quella esterna. Il concetto chiave è l’inconscio digitale, vale a dire tutto quello che si conosce sul tuo conto senza che tu lo sappia. Con i Big Data e le menzogne dei governi come Prism, non abbiamo difesa. Allora ribaltiamo il problema: non parliamo più di privacy, parliamo di costruzione della personalità digitale, che parte dall’inconscio digitale. Bisogna avere la possibilità di accedere questi dati: la giustizia non è il diritto all’oblio, che non è possibile, la giustizia sarebbe poter accedere a tutti i dati sul nostro conto, inclusi quelli medici e criminali. I dati sono nostri. Anche Stefano Rodotà è d’accordo su questo punto. I Google Glass e i Big Data aumentano questo rischio. Le persone non hanno ancora ansia nei confronti di questo problema, ma l’interesse inizia a crescere. Il fascismo digitale è una possibilità concreta sul piano politico e potrebbe essere anche peggio del fascismo meccanico, che abbiamo conosciuto in passato. Vengono fatti anche esperimenti sul controllo della mente di un’altra persona attraverso la Rete. Questo è pericoloso”.

Siamo vittime di un information overload? Quali sono le conseguenze dell’essere costantemente connessi tramite gli apparecchi elettronici?

“Ci sono argomenti pro e argomenti contro. Penso che l’esternalizzazione delle nostre funzioni cognitive esista veramente, come quando scattiamo foto per ‘vedere veramente’ quello che abbiamo davanti agli occhi. Lo facciamo tutti: invece di prendere appunti su qualcosa, scattiamo una foto. C’è sicuramente una perdita da questo punto di vista. Ho letto alcuni psicologi americani che hanno studiato a lungo termine delle classi di scuola per vedere fino a che punto gli studenti erano capaci di riconoscere e interpretare la fisionomia. Sembra che effettivamente ci sia una perdita nell’interpretazione delle espressioni del viso”.

Marshall McLuhan diceva che i media erano estensioni del nostro corpo. Ora, sempre piùspesso, indossiamo i gadget sul nostro corpo. Quanto è cambiato il nostro rapporto con la tecnologia e i media?

“Siamo già cambiati, e penso che il responsabile sia l’elettricità. McLuhan avrebbe detto che alla base di tutto c’è la presa di potere dell’elettricità sul corpo e sulla mente dell’uomo. La cultura è globalizzata ed è stata l’elettricità a causarlo. La coesione sociale che ne scaturisce, grazie anche al Web 2.0, diventa a metà automatizzata, ma necessita di una nuova etica, basata su principi di rappresentazione del sé e della società, di cui abbiamo grande bisogno, ma che non è ancora maturata”.

Ma McLuhan cosa avrebbe detto dei Google Glass?

“Marshall McLuhan diceva che dentro la tecnologia c’era il diavolo. Era contro anche ala televisione. Lui era un uomo del libro e della cultura alfabetica. L’ha detto nel 1962, il lo chiamo il ‘decalogo di McLuhan’: ‘Il prossimo medium, qualunque sarà, potrebbe essere l’estensione della nostra coscienza. Comprenderà la televisione, come suo contenuto, non per il suo ambiente e trasformerà la televisione in una forma forma d’arte’. Questo è YouTube. E ancora: ‘Potrà essere un medium di comunicazione e ricerca’ – Internet, anche se McLuhan è morto nell’80. ‘Renderà obsolete le organizzazioni bibliotecarie’, e questi sono i tag. E, infine, per McLuhan, questo nuovo medium avrebbe beneficiato del talento enciclopedico di tutti noi, il che è Wikipedia. E, infine, era convinto avrebbe creato un nuova economia. Non era in favore di tutto questo, pur avendolo capito già nel 1962″.

( Wired.it, 25 ottobre 2013)

Licenza Creative CommonsThis opera is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 3.0 Unported License.