Il mercato dei progetti Industria 4.0 (soluzioni IT, componenti tecnologiche abilitanti su asset produttivi tradizionali e servizi collegati) in Italia nel 2016 ha raggiunto un valore di circa 1,7 miliardi di euro, di cui l’84% realizzato verso imprese italiane e il resto come export. A questa cifra si aggiunge un indotto di circa 300 milioni come componenti Industria 4.0 entro progetti “tradizionali” di innovazione digitale.

Lo dice l’Osservatorio Industria 4.0 del Politecnico di Milano, la cui edizione 2017 è stata presentata proprio oggi nella sede Assolombarda di Milano davanti a mille persone, contro le 600 che si erano iscritte al convegno dell’edizione 2016.

A pari perimetro rispetto al 2015 il mercato è in crescita del 25%, ma il bello deve ancora venire, visto che il dato 2016 non comprende tutti gli investimenti definiti e varati dopo la pubblicazione del Piano Nazionale Industria 4.0 e dei chiarimenti fiscali collegati. Le aspettative per il 2017, tenendo conto anche di come è andato il primo trimestre, sono ancora più rosee: le imprese dell’offerta si aspettano una crescita annua intorno al 30% che significherebbe un raddoppio in due anni degli investimenti di trasformazione digitale in Italia. E quindi un recupero del ritardo rispetto ai Paesi più maturi, ma anche il rischio concreto di un eccesso di domanda rispetto alla capacità di consegna dei fornitori.

«In un anno è cambiato moltissimo – ha detto Giovanni Miragliotta, Direttore dell’Osservatorio -. Un primo grande risultato è che grazie al Piano Nazionale Industria 4.0, varato lo scorso settembre, e al lavoro di divulgazione di Governo, associazioni, media e anche del nostro Osservatorio il livello di conoscenza su Industria 4.0 è fortemente cresciuto: su un campione di 241 imprese manifatturiere, solo l’8% dichiara di non conoscere il tema (un anno fa era il 38%), il 41% ha letto articoli online, il 32% ha partecipato ad eventi dedicati e il 28% sta valutando di fare qualcosa, mentre un altro 28% sta già adottando soluzioni».

Buona anche la notorietà dello stesso Piano Nazionale (noto anche come Piano Calenda): solo il 16% delle imprese del campione non lo conosce. Tra le altre, il 52% ha deciso di usufruire del superammortamento al 140%, il 36% dell’iperammortamento al 250%, il 29% utilizzerà il credito di imposta per ricerca e sviluppo, il 7% compirà investimenti in startup. Nel complesso, il 73% delle imprese investirà in beni strumentali, il 61% in beni immateriali, il 43% in dispositivi di Advanced HMI o soluzioni di ergonomia-sicurezza e il 30% in sistemi per l’assicurazione di qualità-sostenibilità.

Un quarto delle imprese approfitterà delle agevolazioni del Piano investendo oltre un milione di euro, un altro quarto meno di 500mila euro. Le misure più richieste da aggiungere al Piano sono incentivi per corsi di formazione 4.0 (29%) e per le assunzioni necessarie a colmare il gap di competenze (25%).

«Sembra ormai vinta la prima sfida culturale, quella della consapevolezza sull’Industria 4.0: l’Italia ha un Piano Nazionale, il tema è al centro dell’attenzione del mondo economico e il livello di conoscenza tra le imprese è salito notevolmente – spiegano in un comunicato Alessandro Perego, Andrea Sianesi e Marco Taisch, Responsabili Scientifici dell’Osservatorio -. Ma ora si aprono nuove sfide: bisogna disegnare i progetti sulle specificità di ciascuna realtà (a questo proposito l’Osservatorio ha realizzato DREAMY, uno strumento di di assessment disponibile gratuitamente online, ndr), riuscire a liberarne realmente il potenziale innovativo e misurare i dati raccolti, dotandosi inoltre delle necessarie competenze. Il pieno impatto della trasformazione 4.0 si avrà tra 10-15 anni e vanno formulate strategie e roadmap con lungimiranza. È cruciale che l’ondata di investimenti vada oltre l’opportunità fiscale e si fondi su una vera consapevolezza delle potenzialità della Quarta Rivoluzione Industriale».

Quasi due terzi del mercato Industria 4.0 – il 63%, circa un miliardo di euro – è legata a progetti di connettività e acquisizione dell’Industrial Internet of Things, ha detto al convegno Miragliotta. Le altre tecnologie su cui più si investe sono Industrial Analytics (20%, 330 milioni di euro), Cloud Manufacturing (9%, 150 milioni) e Advanced Automation (sistemi di produzione e movimentazione autonomi e collaborativi, 8% pari a 120 milioni). L’area più di frontiera, l’Advanced Human Machine Interface (wearable e interfacce uomo/macchina come display touch, scanner 3D, visori per realtà aumentata), per il momento rappresenta solo l’1% del mercato.

Nella sua indagine l’Osservatorio ha censito oltre 800 applicazioni 4.0, per una media 3,4 applicazioni per azienda, distribuite nelle tre aree Smart Lifecycle (sviluppo prodotto, gestione del ciclo di vita e dei fornitori), Smart Supply Chain (pianificazione dei flussi fisici e finanziari) e Smart Factory (produzione, logistica, manutenzione, qualità, sicurezza, compliance). Nella Smart Factory, il 38% delle imprese ha adottato soluzioni di Industrial IoT e il 33% di Industrial Analytics, ma oltre un quarto ha investito anche in soluzioni di Advanced Automation e Advanced HMI. Nella Smart Supply Chain il 32% adotta soluzioni di Industrial Analytics e il 15% di Industrial IoT, mentre è ancora basso l’uso di piattaforme cloud. In ambito Smart Lifecycle, l’Additive Manufacturing è centrale nelle fasi di prototipazione, ma sono le applicazioni IoT, Analytics e Cloud a crescere di più, attestandosi su livelli poco inferiori al 20%.

«Con una media di 3,4 applicazioni per azienda, l’indagine rivela l’ottima vitalità delle imprese italiane nell’Industria 4.0 – continua Miragliotta -, ma la situazione non è omogenea per numero e dinamica delle applicazioni, oltre che per posizionamento rispetto ai concorrenti: Industria 4.0 sta diventando, già in questa fase sperimentale, un elemento di differenziazione tra le imprese».

L’Osservatorio Industria 4.0 ha individuato oltre 100 skill tecniche necessarie per realizzare modelli di business di Industria 4.0. La più desiderata è la capacità di “definire un piano di adozione delle tecnologie per il miglioramento dei processi produttivi”, su cui solo il 46% si sente preparata. Quasi altrettanto importante è ritenuta poi la “capacità di integrare digitalmente i processi di business con clienti e fornitori lungo la supply chain”, su cui il 54% delle imprese si sente preparata ma nel 75% dei casi è comunque previsto un potenziamento tramite programmi di formazione, nuove assunzioni o collaborazioni.

«Per cogliere davvero la sfida dell’Industria 4.0, le aziende devono rivedere strategie di selezione e sviluppo delle risorse umane, ma anche i piani di formazione, le reti di collaborazione – commenta Sergio Terzi, Direttore dell’Osservatorio industria 4.0 -. La skill considerata più rilevante non è affatto banale perché richiede di contemperare prospettiva strategica di business e tecnica, considerando le implicazioni sulla sicurezza fisica del personale, cybersecurity, privacy, proprietà dei dati e altri aspetti legali».

Per dotarsi delle competenze mancanti, l’8% delle aziende selezionerà nuovo personale o avvierà collaborazioni sulle skill chiave dell’Industria 4.0, in particolare per ricercare la capacità di definizione del piano di adozione delle tecnologie, quelle di analisi, modellazione e simulazione dei dati di produzione provenienti da sensori e dispositivi, e per la conoscenza di sensoristica e piattaforme IoT per il monitoraggio dei flussi di materiali. Le competenze per cui invece sono in corso o pianificate nei prossimi 18 mesi azioni di formazione sono soprattutto nella gestione della produzione: definizione del piano di adozione delle tecnologie per i processi produttivi (33%), analisi, modellazione, simulazione dei dati di produzione (31%) e progettazione di sistemi di manutenzione predittiva (31%)

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