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La parola che oggi viene più spesso utilizzata per descrivere il contesto in cui le aziende sono chiamate a operare è ‘complessità’. Sul fronte della gestione dei dati, questo termine si associa facilmente a un altro: big data. 

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In effetti, le organizzazioni oggi rischiano di essere sommerse da uno tsunami di dati strutturati e destrutturati provenienti da sensori, social network e quant’altro, che si sommano ai classici dati memorizzati nei database aziendali. Tali enormi moli di dati rappresentano però al contempo un’opportunità, per il valore di business che si nasconde dietro ad essi. Ecco perché le aziende sono sempre più consapevoli della necessità di riuscire a governarli. “Il tema del big data – spiega Flavio Venturini, senior sales director business intelligence di Oracle Italia – è oggetto d’interesse con maggiore o minore priorità in base alle specificità del business di ciascuna impresa: più è ampia la base clienti e di conseguenza la quantità di dati relativi all’impresa che viene generata da essi sui social media, più numerosi sono i dispositivi e i sensori digitali che generano dati sul servizio o sul prodotto offerto, tanto più è sentita l’esigenza di riuscire a raccogliere e analizzare tali dati per comprendere meglio il mercato in cui si opera e le operazioni di business, ottenendo così un vantaggio competitivo”

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