“L’uomo dipendente dai Google Glass” (Daily Beast). “Uomo in cura per dipendenza da Google Glass” (Time). “Dipendenza da Google Glass? I medici descrivono il primo caso della malattia” (NBC News). Poi si recupera lo studio che motiva i titoli – questi, e molti altri sugli stessi toni allarmati – e si legge che le cose sono un po’ più complicate.

Source: www.wired.it

 

Il lavoro dei ricercatori Kathryn Yung e colleghi, appena pubblicato su ‘Addictive Behaviors’, racconta infatti l’esperienza di un 31enne in servizio nelle forze armate “con precedenti di disturbi dell’umore“, di “ipomania indotta da sostanze e che si aggiunge a un disturbo depressivo, ansia con caratteristiche di fobie sociali, un disturbo ossessivo-compulsivo e un problema acuto nel consumo di alcool e tabacco“.

 

Vista la complessità del quadro clinico del paziente, sono i ricercatori stessi a parlare – più che di una nuova malattia o dipendenza – di “potenziali associazioni” tra disturbi dovuto all’abuso di sostanze e dipendenza da Internet (IAD). Un disturbo, quest’ultimo, peraltro fortemente discusso e non riconosciuto ufficialmente come tale nemmeno nel DSM-5: quasi sempre, infatti, l’ipotetica malattia appare unicamente in congiunzione con, e come manifestazione di, altre patologie trattate nel celebre manuale di disturbi psichiatrici.

 

Messici al riparo dagli allarmismi – lo studio non autorizza a ipotizzare correlazioni tra un uso smodato dei Google Glass e un disturbo, in assenza degli altri fattori presenti nel paziente – resta tuttavia ciò che il paziente stesso dice di avere provato nei due mesi precedenti il ricovero, quando ha utilizzato gli occhiali per la realtà aumentata di Mountain View per 18 ore al giorno,

 

togliendoseli solamente per lavarsi e dormire. Al lavoro del resto, si legge, gli erano utili per fotografare veicoli a mani libere e taggare le immagini con precisi identificativi. E fuori il suo indossarli, dice, lo aveva aiutato a socializzare: spesso, quell’uso stesso del device era il rompighiaccio.

 

Poi il 31enne diventa un paziente, e i Glass gli vengono vietati. “L’astinenza è stata peggiore di quando ho smesso con l’alcool“, dice. E ancora, notano i ricercatori che il paziente afferma di avere “visualizzato i suoi sogni attraverso il device“. Dopo la realtà aumentata, i sogni aumentati: “Aveva esperienza del sogno“, si legge, “attraverso una piccola finestra grigia, coerente con quanto vedeva indossando il device da sveglio“. Una sorta di nuova manifestazione dell’effetto Tetris.

 

Non è tutto. Senza i Glass, il paziente si sente diventare “estremamente irritabile“. E, durante i colloqui, i medici lo vedono distintamente cercare con le dita il capo, all’altezza in cui incontrava la parte del device con cui interagire con Glass. Fenomeno che si attenua dopo 35 giorni di ricovero, ma significativo secondo i ricercatori. Lo stesso mitigarsi degli effetti si vede per le autodichiarate difficoltà con la memoria di breve termine e con la capacità di mantenere contatto visivo con l’interlocutore.

 

La conclusione degli studiosi non è che usare troppo i Glass conduca necessariamente all’insorgere di un disturbo, ma che i disturbi osservati “possono essere spiegati da una combinazione degli effetti del suo grave problema con l’alcool e dei suoi problemi psichiatrici, ma possono essere anche ulteriormente complicati da un uso esteso e quotidiano, e da una conseguente astinenza dovuta al ricovero, dei Google Glass“.

 

Insomma, il problema non sembra risiedere nel device in sé né, più in generale, nella tecnologia. Ciò che manca, si legge, è piuttosto letteratura scientifica su come usi continuativi di device tecnologici – e quelli indossabili e connessi mirano per definizione a occupare tutti i momenti delle nostre giornate – impattino sul nostro cervello, ammesso lo facciano negativamente, e sui nostri comportamenti.

 

Senza dimenticare l’importanza del quadro più generale della salute di chi li indossa, ma anche le sue motivazioni personali e sociali. Una questione seria, da affrontare senza pregiudizi (né allarmistici né assolutori), specie ora che la rivoluzione degli wearable e l’era dell’iperconnessione sono, o stanno per diventare, realtà di massa.

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